mercoledì 31 luglio 2019

Grandfather


Mio nonno saltò su una mina ai tempi della guerra, perdendo la vista per sempre, da giovanissimo. Era uno sminatore. Sviluppò enormemente gli altri sensi, e la voglia di vivere gioiosamente, grazie anche alla donna esemplare che aveva accanto. Vorrei non aver rimandato troppe volte quella chiacchierata tra uomini, per chiedergli cosa ha potuto vedere con i suoi "nuovi occhi", cosa aveva imparato. Ma uomo ancora non ero, avevo sempre cose più importanti da fare. Nonostante la felice frequentazione, quel confronto tra uomini l'ho sempre rimandato. Mi siederei oggi con lui su questa panchina e lo riascolterei con il cuore, per ore ed ore, fino al tramonto.

venerdì 12 luglio 2019

Singing


Del ruolo di cantante mi piace il fatto che, anche se non sai mai come andrà a finire, una volta che sei dietro al microfono, in qualsiasi condizione, non ti resta che fare quello per cui sei lì, ovvero cantare. E siccome cantare significa esporsi, denudarsi, dare in pasto agli altri la propria forza, ma anche le proprie fragilità, è una faccenda viscerale che costringe a una crescita personale. Perché quella sfacciataggine, quel gesto di sana follia che è il mettersi dietro a un microfono, richiede un certo controllo di sé ma soprattutto l'accettazione del fatto che non tutto di sé si può o si deve controllare.


mercoledì 10 luglio 2019

Ricalcolarsi

Quello emozionale è un scontro impietoso, imprevedibile e senza fine. Mi osservo spesso da bordo ring, nell'attesa del gong, quella pausa in cui riprendere fiato, asciugare la fronte, curare le ferite o semplicemente guardare l'altro me fare i conti all'angolo opposto con le proprie beghe e i propri limiti. Quella pausa in cui capire se c'è da aggiustare il tiro o gettare una spugna che però non è in dotazione. La logica di questa alternanza senza fine di cazzotti e carezze ...attese e colpi, che alla fine non è che l'irrinunciabile partita di una stesso soggetto contro l'idea di sé, non mi è del tutto chiara. La cerco nelle sfumature di un progressivo cambiamento interiore, e se non riesco a orientarmi nei meandri astratti della mia anima, la cerco negli effetti pratici che questo produce sulla mia vita reale, quella vissuta, quella fatta di cose tangibili, risultati, approvazione, concretezza e geometrie. Mi dico, forse un approccio pragmatico potrebbe chiarirne il senso. Invece spesso mi sembra solo tutto un grosso groviglio di buoni propositi la vita. Faccio cose che producono cose che producono cose, mi attorciglio su me stesso senza sapere veramente dove sto andando a volte, ne' perché. Oppure ne sono consapevole ma ci vado con uno stato d'animo che non abbraccia a meraviglia gli obiettivi che mi ero prefisso, con dei solchi dentro in cui vedo spandersi in rivoli tutte le energie profuse, fino a vanificare gli sforzi. Nel guadagnare una cosa ne perdiamo un'altra, un continuo ricalcolarsi reso ancora più complicato, per quanto interessante, dalla convivenza sociale, dalla percezione e dalle aspettative di chi crediamo potrebbe capirci, amarci, ascoltarci o semplicemente crederci. E ad ogni suono di gong, quelle pause irregolari in cui mi è dato di respirare e tirare le somme, mi ricordo che quello emozionale, a prescindere, rimarrà comunque quello scontro impietoso, imprevedibile e senza fine tra me e un altro pezzo di me, tra i due e il mondo esterno. In questo vorticare per me esiste solo un rifugio: lo sguardo di leggendaria purezza dei miei bambini, acque limpide e chete in cui m'è dolce il naufragare. Lì trovo le mie risposte. La spinta a fare di più. O semplicemente a fare. Questo è credo, uno dei privilegi di essere un padre.