venerdì 14 novembre 2014

Bianco, nero e in mezzo un sacco di cose


Mi ricordo di quando eravamo giovanotti e tutti cazzeggiavamo parlando solo di moto e pallone, ma io spesso mi soffermavo sulle sfumature dei nostri pensieri perchè mi piaceva approfondire i discorsi, dare un senso alle nostre passioni, e interiorizzavo tutto, e ricordo che tu mi dicevi: "Dai non stare sempre a filosofeggiare, hai rotto i coglioni"; tu non avevi ancora sviluppato la pulsione alla ricerca del senso della vita, ti limitavi ancora a esistere, a prendere le cose come arrivavano, senza sapere il perchè. E leggevo libri di psicologia e sociologia perchè avevo voglia di capire, di crescere, senza dirlo a nessuno, e tu che li vedevi in camera mia mi dicevi "Che mattoni assurdi, goditi la vita". Mi vestivo bene e collezionavo ragazze per la mia ipersensibilità, e tu mi davi del narcisista, forse anche perchè eri meno piacente di me e soffrivi di quell'invidia che io nei tuoi confronti non provavo, anzi ti stimavo perchè eri dotato di una praticità che io potevo solo sognare. Poi ti sono successe un sacco di cose brutte, tra cui la morte di tua madre, gli amici sbagliati, gli amori fallimentari, le difficoltà scolastiche e via dicendo. In tutti questi anni da allora ti è cresciuta dentro una rabbia atroce, che mescolata a quel dolore e alle frustrazioni ti ha cucito addosso un'armatura sempre più spessa. La stessa che ci ha allontanati. Dovevi dimostrarti e dimostrare al mondo che eri capace di reagire e badare a te stesso, che eri forte, più dei casini che stavi vivendo, ma a forza di confondere il concetto di resilienza con la smania di affermazione eri diventato insopportabile. Ti muovevi con quella supponenza di chi non vuole mai ammettere errori e sconfitte, comprando beni materiali, buttandoti a capofitto in missioni lavorative suicide, sbandierando amori e altre meraviglie che non riempivano il tuo vuoto interiore, solo la bocca di parole. Quando hai toccato il fondo ultimamente, tra divorzio, affidamento dei figli e guai finanziari, ti sei ritrovato costretto a guardarti dentro come non hai mai fatto, nudo allo specchio, a cercare di dare un senso alla tua vita; quella cosa che mi criticavi ma che ora per te era diventata urgente, perchè quando uno tocca il fondo deve chiedersi dov'è che è inciampato. Hai scelto allora la strada delle buone letture, dell' approccio filosofico alle esperienze, l'unico modo che si ha a volte per restare a galla, per proteggere la propria dignità, e trovare la spinta a superare gli ostacoli ingombranti e migliorarsi mentre attorno e dentro pezzi di mondo crollano. Oggi pubblichi continuamente post che parlano delle orazioni di Osho, frequenti corsi in cui si parla di chakra e terzi occhi, dipingi le pareti di casa con colori pastello perchè ti hanno spiegato che hanno a che fare con l'anima, leggi quei libri che ti sembravano mattoni 20 anni fa, pratichi la meditazione, hai venduto la moto costosissima e tante cose che ti facevano sentire fiero delle tue capacità gestionali del patrimonio, e porti al parchetto quella figlia che non ti sei mai cacato perchè eri preso da te stesso; hai accorciato la lista degli amici e ti sei perfino tatuato sulla schiena una filastrocca orientale. E mi sta bene, cerchi la giusta via, sembra tu ti voglia più bene di quanto te ne sia mai voluto. Solo, amico mio, quando vuoi darmi insegnamenti di vita senza essere interpellato, rispondendo al mio pensiero con frasi tratte pari pari dalle tue letture, e quella leggerezza tipica di chi avrebbe capito il senso ultimo di ogni cosa anche se in fondo non gli appartiene, facendo spallucce laddove umanamente ci sarebbe ampio spazio per il fastidio, ecco...mi risulti veramente patetico. Perchè in realtà sei un condannato, e la tua condanna è quella di poterti muovere solo sugli estremi del bianco e del nero, perchè se ti muovi sulle scale di colore che li dividono e di cui la vita è piena, in quel punto non precisato in cui convergono e si confondono gli opposti, allora lì sei perso, morto, perchè lì solo un sano equiibrio può salvarti. Ecco vedi, io tra quelle sfumature e quei contrasti ci campo a meraviglia da sempre, da quando mi prendevi per il culo. La storiella del "sono un uomo nuovo" quindi puoi raccontarla a qualcun altro. Se la racconti a me vuol dire parecchie cose: una è che non hai ancora compreso l'interlocutore, la seconda che una volta di più stai parlando solo con te stesso. Una nuova messinscena, volere sempre dimostrare qualcosa. La tragedia è la stessa, ma con uno sfondo un pò più zen. Ed èanche la dimostrazione che si cambia negli anni, ma fino a un certo punto e spesso non nella sostanza.

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