martedì 8 novembre 2016

Effetti collaterali di una serie TV

Ho provato con Walking Dead, considerata la mia passione per il genere horror e le opinioni di chi l'aveva già visto, ma ho mollato alla 4a puntata per sopraggiunto scazzo interiore. Adesso c'è sto Westworld, con Hanthony Hopkins che recita con l'intensità di un impiegato che si lava i denti la mattina e già pensa alle rotture di balle che l'aspettano in ufficio. Non nomino gli altri.
I serial televisivi non mi appassionano, non c'è niente da fare. Sono come noiose maratone che si svolgono lungo un percorso di pochi isolati, i cui personaggi e ritmi narrativi rimangono sempre gli stessi dall'inizio alla fine. Una fine che sembra non arrivare mai e che forse neanche è prevista.
Ora, a prescindere dalle location, spesso ottimamente rappresentate, che si tratti di ospedali, città metropolitane, sanguinolente scene del crimine, foreste innevate, villaggi del west, corti settecentesche ecc...c'è sempre un fattore che li accomuna tutti e che mi stride parecchio, quell'estetica prevedibile che ne sfilaccia i bordi e ne compromette l'unicità: è come se tutti venissero passati tecnicamente attraverso uno stesso filtro, col risultato di esibire contorni sempre troppo nitidi, facce troppo pulite, dialoghi troppo lineari, colori troppo invadenti o artificiosi, abbinamenti tra attori e personaggi spesso forzosi. Il risultato è che nonostante le manco tanto velate pretese di iperrealismo, traspare una specie di ingombrante teatralità nei serial. E se poi sbirci tra le righe, puoi percepire quasi una certa fiacca artistica; di chi, nei panni del regista o dell'attore, è costretto a giocare lo stesso gioco per troppo tempo, o non ha, all'interno di quel gioco, abbastanza margine per rinnovare la sua espressività, o semplicemente non trova lo stimolo per crederci fino in fondo, lo stesso stimolo che magicamente hanno tanti spettatori per riuscire a seguirne le puntate dalla prima all'ennesima. Lo stimolo che io non trovo.

Un film è una impresa non ripetibile, dentro un regista ci riversa se stesso, rischia se stesso, perché deve racchiudere in quel poco spazio tutti i significati possibili; può decretarne il successo o mandarlo al baratro. Un film è anche una sorta di scatola chiusa che impegna il tempo di sorprendere, a volte sconquassare, e non ti chiede sforzo ulteriore. Nella migliore delle ipotesi ti lascia lì a pensare, a ripercorrere le immagini lasciandoti la scelta del modo, del momento in cui farlo. Non mi succede questo nei serial, sapere che ogni puntata è legata più o meno indissolubilmente a all'altra mi costringe a una costanza che non mi appartiene. Non nel lungo termine. Una caratteristica che fa sì che non succeda mai niente di illuminante o veramente degno di nota negli episodi dei serial: le cose scorrono, sai già che qualcuno morirà, che altri subentreranno, che ti presenteranno una timida connessione tra i fatti, andando a scomodare il vissuto di personaggi messi lì a tempo indeterminato, trasudanti incredibile umanità, con lo scopo di riempire in fondo le falle di una vicenda nasce per procedere al ritmo del botteghino e non per idee. Capisci insomma che a tratti la storia la stanno inventando strada facendo, in funzione dell'interesse dimostrato dal pubblico. Li immagino seduti a tavolino a scapicollarsi per inventarsene una nuova quando le cose tendono ad arenarsi e le tensioni ad allentarsi. E penso a come i cachet  degli attori si siano trasformati in stipendi, e questo mi fa girare le balle concettualmente. Insomma il fenomeno del serial è spesso solo una operazione commerciale. E ogni puntata alla fine sembra pressochè un surrogato della prima, che funge da matrice. Vista quella, le hai viste tutte.
No, i serial non fanno per me. Non mi riesce proprio di  affezionarmi a personaggi che vedo ciclicamente come fossero colleghi di lavoro, di episodio in episodio. Dentro non mi rimane abbastanza spazio di manovra per la fantasia; in termini emotivi non resta pressoché niente di irrisolto, e io non posso rischiare che mi si incastri la curiosità o peggio disattivi il cervello. E' questo il difetto genetico del serial moderno secondo me: sollevarsi dalla necessità di essere incisivo e onesto, abusando del troppo tempo e del troppo spazio a disposizione.

2 commenti:

  1. Serie belle ce ne sono, soprattutto quelle che durano poche stagioni. Poi dipende dai gusti e anche dal momento. Non so se ti è già capitato di vederla, ma io ti consiglierei Shameless, oppure dai un'occhiata a Louie, che non so se è proprio corretto definirla serie.

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    1. non dico che non siano belle, dico che non mi entrano dentro al punto da desiderare di vedere le puntate successive...Vado a guardare di cosa parla Louie

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