martedì 22 luglio 2014

Ogni bivio una vita possibile

Ho 37 anni. Di questi circa una decina passati a soddisfare bisogni primari di bimbo, una dozzina a tentare di liberarmi dalla morsa tentacolare dei genitori e altrettanti a sopravvivere cavalcando orgoglioso le mie banalissime priorità da neo-adulto. Insomma, l'altro pomeriggio, mentre la bimba dormiva e io spegnevo neuroni all tv, è arrivata una telefonata. Era mia madre che con malcelato imbarazzo. accennando velatamente ad alcuni acciacchi, dopo tanto tanto tempo mi faceva il dono di chiedermi di andare a fare la spesa per lei. Poche parole disposte in una dignitosissima combinazione di montanti. Così in men che non si dica mi sono infilato le infradito, mi sono fiondato a casa sua, ho preso la lista delle cose da comprare e mi sono incamminato  lungo il sentiero che collega la bottega al condominio, una scorciatoia tra vecchie case che per me in gioventù è stata teatro di mille piccole grandi avventure. Contando a ogni passo le antiche mattonelle in porfido lungo quella stradina dissestata, a un certo punto sopra uno di quei muri ingialliti dal tempo, una scritta ancora leggibile. Un flash che non so spiegare. In un batter d'occhio mi sono ritrovato catapultato ai tempi della scuola, dei primi impicci amorosi e degli spintoni tra giovani pretendenti. A pennarello, un po' sbiadito, c'era scritto: "Alan ti amerò per sempre! tua S".  S. era di due anni più grande di me. Precoce e bellissima. Capelli lunghi neri. Occhi profondi come abissi. Seno interessante. Gambe magre e lunghe che già allora non rinunciava a esibire, anticipando gli standard. Disinibita e sfuggente coi più, per una ragione che non mi era chiara aveva deciso che voleva un bacio da me. Vestita di carismatico erotismo e forte di una certa sfrontatezza mandava a chiamarmi dai suoi amici per farmi sapere che a quella data ora, in quel dato posto, mi avrebbe aspettato, da sola, per parlarmi. E io puntualmente mandavo a dire che non ci sarei stato, che avevo altre robe da fare: le bici, il calcio, un diario su cui scribacchiare...Più fuggivo più mi cercava, e più mi cercava più io fuggivo, e più fuggivo e più attiravo su di me le ire dei bulli bellocci del rione che la rincorrevano già da prima che io andassi ad abitare in zona. Mi attribuivano penso una certa arroganza nel rifiutare le sue avances, e mossi dalla frustrazione di non poterla avere lo interpretavano come un affronto nei loro confronti, ovviamente da punire corporalmente. Dio solo sa quante volte mi hanno inseguito aspettando di beccarmi da solo, lungo quel sentiero, e quante volte mi sono ritrovato a scappare a gambe levate verso il portone di casa per non prendere una saccagnata. Poi un giorno non potei avitarli e visto quello che accadde diventammo miracolosamente amici, ma questa è un'altra storia. Comunqeue, la realtà era che io di S. avevo una paura fottuta, non sapevo fino a che punto voleva e poteva spingersi, sapevo solo che la sua sicurezza mi seppelliva sotto uno strato fossile di timidezza. Io, che avevo appena scoperto l'autoerotismo, si capisce, non ero pronto a esplorare un corpo che non fosse il mio. Sapevo di non essere all'altezza, che avrei fallito miseramente segnando per sempre il mio futuro sessuale e la mia reputazione. Tuttavia mi lusingavano le sue avances, che a dirla tutta, sommate a quelle di tante altre ragazze che ugualmente ignoravo, mi suggerivano che forse presto avrei dovuto convogliare un pò delle mie energie in territori diversi da quelli in cui ero solito rintanarmi. Ebbi allora i miei primi approcci con alcune di quelle, consapevole che maturata una certa dimestichezza in ambito "umma-umma", a un certo punto sarei potuto tornare da S. per raccontarle la storiella che in fondo lei mi era sempre piaciuta un sacco...e tutto il resto. Alla fine S. ed io non ci siamo mai baciati, e forse nemmeno parlati. Ad un certo punto si sarà stufata, si sarà detta che era meglio un cretino consenziente che le alimentasse l'ego piuttosto che un pivellino incapace di omaggiarle la bellezza;  mi sembra addirittura avesse cambiato scuola. Oggi S vive su una sedia a rotelle, ho saputo, ed ha bisogno che qualcuno la imbocchi  per mangiare. Perchè a S, dopo una banale caduta in motorino qualche anno dopo quelle tenere vicissitudini, si è incasinata una piccola porzione di cervello. Così, guardando quel muro ingiallito con sopra quella scritta sbiadita, seduto sul muretto difronte, mi sono dimenticato della spesa e del presente tutto. E sono credo invecchiato di un pò. E' stata una telefonata di mia madre ha riportarmi in vita. Voleva solo aggiungere alla lista delle carote, ma senza saperlo mi ha ricordato anche che ogni bivio è una vita possibile. E che non bisogna dimenticarselo mai.

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